Nei canti XXIV e XXV, dedicati alla bolgia dei ladri, è predominante, in maniera quasi ipertrofica, il tema della metamorfosi. Facile distrarsi dietro ai giochi di prestigio che vedremo, appositamente ostentati del resto con scoperta soddisfazione dall’autore, e perdere di vista il nesso teologico e morale tra la configurazione della pena e la natura del peccato dei ladri. Nesso che dapprima sembra sfuggirci, ma che, come sempre, costituisce un elemento fondamentale per intendere correttamente il testo dantesco.
Anzitutto, chiediamoci chi sono i ladri. «Quelli che rubano» si dirà subito. Cioè quelli che «portano via la roba (l’etimo, di origine germanica, è lo stesso) agli altri». Ma ci sono tanti modi di rubare: giuridicamente, tra furto e rapina c’è una bella differenza (poi c’è anche l’appropriazione indebita, che è un’altra cosa ancora, ma è sempre rubare).
Nel sentire comune, però, chi mi porta via ciò che mi appartiene…
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