Chi è morto è morto e basta, e non può essere più morto o meno morto. In questo senso il male è tutto uguale e l’inferno, come non-luogo della morte spirituale, non conosce distinzioni.
Per questo motivo esso, in quanto male assoluto, sarebbe a rigore indicibile. Qualsiasi proposizione, infatti, presuppone delle distinzioni antecedenti al sintagma che le unisce. Appena si esce dalla tautologia e del male si predica qualcosa, il predicato stesso, in quanto distinto dal soggetto, introduce di forza nell’enunciato almeno un barlume di non-male, e così siamo già un po’ fuori dall’inferno. Non salvi dal male, ci mancherebbe, ma inevitabilmente conscii della sua relatività. Se dico, ad esempio, «banalità del male», intendendo significare che il male è (può essere) banale e che la banalità è (può essere) malvagia, però per identificare devo prima aver distinto, e sono costretto a pensare, oltre alle baracche e ai forni di Auschwitz…
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