Saputo che il «mantoano» che ha appena abbracciato è nientemeno che Virgilio, il buon Sordello, già «anima lombarda […] altera e disdegnosa», è come sopraffatto dalla sorpresa e dalla soggezione, perde tutto il sussiego e si fa piccino piccino: «chinò le ciglia, / e umilmente ritornò ver’ lui, / e abbracciòl là ‘ve ‘l minor s’appiglia» (vv. 13-15), che non è ben chiaro se voglia dire che lo abbraccia alle ginocchia o addirittura ai piedi – comunque un gesto un po’ improbabile, di esecuzione non facile senza goffaggine (qualche tempo fa vedemmo un papa baciare le scarpe di un gruppo di capi politici e non fu un bello spettacolo, almeno ai miei occhi). Più avanti, nel XXI canto, vedremo che quando ci proverà Stazio a fare una cosa simile, Virgilio sarà lesto ad impedirglielo.
La faccenda sembra sul punto di prendere una piega cerimoniosa e celebrativa: «“O gloria d’i Latin”…
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