Ci sono due modi di rispondere a questa che, apparentemente, è la più banale delle domande (in realtà, come ogni domanda, un discrimine su cui si prova la nostra posizione umana). Uno è il nostro, ed è banale, meschino e asfittico: consiste nel chiederlo ad una macchinetta che quasi tutti noi portiamo addosso, una volta come orologio nel taschino, poi al polso, ed ora quasi sempre ce l’abbiamo in mano in forma di smartphone. Meccanica o digitale che sia, la macchinetta risponde come sa, fornendo l’ora, i minuti e i secondi. Osserviamo il nostro gesto, che ci obbliga comunque a chinare il capo, volgere lo sguardo all’ingiù, in un certo senso chuiderci in noi stessi. È astratto e solitario il tempo che la macchinetta ci consegna, non c’entra con nulla al di fuori della ragione contingente per cui l’abbiamo chiesto; il respiro della nostra domanda, del nostro atto, così…
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