Fatta a pezzi la superbia nobiliare – la più stupida di tutte e, sotto mentite spoglie, la più diffusa anche tra i “democratici” e gli “amici del popolo” – ora Dante affronta la superbia più nobile, se così si può dire; quella che sembra (e in un certo senso è davvero) la più motivata e ragionevole di tutte (se mai di un peccato si potesse dire che è ragionevole): la superbia degli artisti.
Dal primo lavacro, il «figlio di un gran Tosco» era uscito bene: si confronti il turgore altisonante e smaccato della prima autopresentazione, «Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre» (v. 59) con la nuda semplicità della seconda: «Io sono Omberto» (v. 67). Quanto è migliorato quest’uomo, da quando è in cura qui nel Purgatorio! Si sta riappropriando della sua identità, diremmo noi moderni: è tornato capace di dire il suo nome, invece di paludarsi in un cognome…
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