Ieri ci eravamo chiesti come si fa a non inorgoglirsi quando si è bravi. In particolare, come può colui che primeggia nell’arte perché ha «gran disio de l’eccellenza» sfuggire alla tentazione della superbia, di cui, come ci ricorda Oderisi, «qui si paga il fio» (v.88), perché anche nella sua forma più nobile e “giustificata” essa è comunque un peccato, anzi il primo peccato, che fa da matrice a tutti gli altri? Una prima risposta al quesito, che lo riguarda personalmente, Dante la fornisce nei vv. 91-117, che però, letti superficialmente, sembrerebbero ricalcare una saggezza umana capace forse di ispirarci ammirazione ma non di convincerci fino in fondo. Una cosa un po’ stoicheggiante che avrebbe potuto scrivere, che ne so, anche Marco Aurelio: «Oh vana gloria delle umane posse! […] Non è il mondan romore altro ch’un fiato / di vento […] La vostra nominanza è color erba, / che viene…
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