Com’è essere ciechi? Come “vede” la realtà un cieco – cioè come la percepisce, posto che, per noi che vediamo, la vista è quasi tutto? È come traspare dal dialogo con cui si apre il canto XIV. Qui Dante ci fa “vedere”, o se preferite sentire, la cecità, senza descrivere nulla (come farà invece doviziosamente D’Annunzio nel suo Notturno), ma solo facendola parlare.
«“Chi è costui che ‘l nostro monte cerchia / prima che morte li abbia dato il volo, / e apre li occhi a sua voglia e coverchia?” // “Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo; / domandal tu che più li t’avvicini, / e dolcemente, sì che parli, acco’lo”. // Così due spirti, l’uno a l’altro chini, / ragionavan di me ivi a man dritta; / poi fer li visi, per dirmi, supini» (vv. 1-9).
Non si obietti che possono averlo capito ascoltando…
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