Frammento di conversazione appena captato al volo, durante la mia camminata in collina (a Celincordia, per chi è delle mie parti). Locutore, quello che ai miei occhi appare come un “giovane maschio adulto” (vuol dire probabilmente un quaranta/cinquantenne, ma io non sono bravo a stimare l’età delle persone) che parlava con un suo simile di poco più anziano: «ieri ho scritto alla Stefania, una ragazza di cinquantun anni compiuti». Il clic che è scattato nella mia mente dapprima mi ha portato a pensare alla sconnessione, che è sempre più forte, tra il nostro linguaggio e la realtà.
Poi mi sono immaginato quella Stefania, sulla base del fatto che lui la chiamava “ragazza”, e anche se io la definirei piuttosto “una bella donna” – (volendo, ahimé, dire “una donna attraente”: bisogna essere onesti e confessare i propri peccati linguistici, anch’io uso l’aggettivo “bello” in un modo che Dante mi piglierebbe a…
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