Risolte le questioni più importanti suscitate dall’apparizione di Stazio, ora possiamo, insieme con lui, lasciarci andare ad una sorta di rimpatriata, assaporando di nuovo il gusto della poesia dei nomi, come avevamo fatto nel IV canto dell’Inferno, questa volta forse con un tocco di dolcezza in più che viene dal sentirsi “in famiglia”: «Dimmi dov’è Terenzio nostro antico, / Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai / […] // Costoro e Persio e io e altri assai, / […] Euripide v’è nosco e Antifonte, / Simonide, Agatone e altri piùe / […] Antigone, Deïfile e Argia, / e Ismene sì trista come fue. // […] èvvi la figlia di Tiresia, e Teti, / e con le suore sue Deïdamia» (vv. 96-114). Qui il lettore non ha bisogno di far nulla, se non lasciarsi schioccare in bocca tutta la meraviglia di tale fioritura onomastica. Chi non capisce quanto possa…
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