Giunti «a l’ultima tortura» (si pesi bene questa definizione della settima cornice!), Dante – che l’esperienza di vedere degli uomini bruciare vivi l’aveva fatta (cfr. XXVII, v. 18: «umani corpi già veduti accesi», un verso potente, che a me si è tatuato nella memoria e non si cancella più) – vuole che il fuoco lo sentiamo veramente, per quello che è: non un fuoco letterario, pronto alla metaforizzazione (il “fuoco della passione” per cui si “arde d’amore”, ed altre sciocchezze da segretario galante), neppure un’allegorica, e perciò fredda, “cortina di fuoco” come si legge nei commenti e anch’io, troppe volte, ho meccanicamente ripetuto spiegando questo passo agli studenti. «Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, / e la cornice spira fiato in suso / che la reflette e via da lei sequestra» (vv. 112-114): se si dà pena di descrivere analiticamente un effetto fisico così particolare, non è tanto per…
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