Lo so che sui sogni di Dante ci sarebbero tante cose da dire, cose dotte, profonde e anche un po’ esoteriche. Ne so quel poco che basta per sapere che non ne so abbastanza, ma non è per questo che non ne parlo, quanto piuttosto perché, dopo essere uscito dal fuoco dell’ultima prova in cui stava per andare a finire tutto male, come lettore sono, al pari di Dante personaggio, in modalità spensierata e fanciullesca. Durerà poco questo momento di «vita iniziale», dunque condediamoci di goderlo, «come al fanciul si fa ch’è vinto al pome» (v.45); pienamente giustificati in ciò dall’autore poiché, come nota con grande acutezza Anna Maria Chiavacci Leonardi, «la scena sorridente di Virgilio, che guarda [Dante] come si fa con un fanciullo renitente vinto dalla promessa di un frutto, non ha valore idillico, né funzione di allentamento della tensione, come è stato detto, ma ha un profondo…
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