Gli ultimi cinque canti del Purgatorio sono come un poema nel poema. A certificarlo, c’è qui nel XXIX una solenne e pressante invocazione alle Muse, di quelle che, secondo le regole del genere epico, si fanno appunto all’inizio di una nuova opera: «O sacrosante Vergini, se fami, / freddi o vigilie mai per voi soffersi, / cagion mi sprona ch’io merché vi chiami. // Or convien che Elicona per me versi, / e Uranìe m’aiuti col suo coro / forti cose a pensar mettere in versi» (vv. 37-42). L’accenno alla sofferenza patita per scrivere la Commedia anticipa la confessione della terzina di apertura del XXV del Paradiso, dove Dante chiama la sua opera «’l poema sacro / […] che m’ha fatto per molti anni macro», e ci richiama un tema che abbiamo già toccato, quello della pena di comporre un capolavoro (vedi qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/03/25/di-nova-pena-mi-conven-far-versi-perche-vogliamo-bene-a-dante-dante-inferno-canto-xx-ouverture/ oppure Andare all’Inferno (e uscirne)
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