Parlavamo, qualche tempo fa (il 15 dicembre), della fervida celebrazione dantesca dell’intelletto umano alla inesausta ricerca del vero, del suo trionfo quando ne agguanta un pezzo («e giugner puollo». Vuol dire: la verità non è assolutamente inconoscibile, non siamo condannati a vivere al di qua di un velo di Maya che ci impedisce di farne esperienza, la realtà esiste ed è accessibile!), e di come quel trionfale possesso (IV, 127: «posasi in esso, come fera in lustra») si tramuti subito in nuovi dubbi, nuove domande, nuove domande: «ed è natura / ch’al sommo pinge noi di collo in colle» (IV, 131-132). Avevamo anche speso, per definire quel clima intellettuale, la definizione di vero illuminismo (cioè illuminismo cristiano). E tutto questo sta bene.
Dante, però, è sempre un passo avanti, ma dovrei dire un miglio, rispetto a noi lettori, che fatichiamo arrancando a stargli dietro (per “serbare il solco”, come ci…
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