La parte centrale del canto (vv. 34-96 è dedicata alla celebrazione della «virtù» del «sacrosanto segno» – come Dante chiama, con un linguaggio che definiremmo quasi sacramentale, il potere imperiale simboleggiato dall’aquila, che era stato messo in campo sin dal primo verso («poscia che Costantin l’aquila volse») quale apparente protagonista del discorso di Giustiniano. A prima vista, questa sezione potrebbe sembrare una specie di riassunto di storia romana, e così temo che molte volte venga pigramente letta nelle scuole; se però non ci si lascia distrarre troppo dal vistoso ma superficiale “cesarismo” dei versi dedicati al de bello Gallico e al de bello civili (vv. 58-72, che potrebbero ricordare il “napoleonismo” di un altro poeta cristiano: “di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno”) ci si accorge che la trama segreta del discorso è tutt’altra: non l’esaltazione delle vittorie militari e delle conquiste imperiali nella forma del Blitzkrieg…
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